Il sapore del calzino verde

Nella pagina del calendario Simpson 2000 relativa al mese in cui sono nato (da cui ho anche appreso che il mio segno non è solo quello di umoristi apocalittici e abissali come Giacomo Leopardi o Franz Kafka, ma anche quello di umoristi demenziali-noir come Mel Brooks e Marty Feldman), c'era l'immagine di Krusty il clown - rapsodico "It" simpsoniano, doppio efferato, e mistificatorio, di Homer - in una piacevole pausa di lavorazione agli studi Krustylu, che alla guida di mastini si rilassa braccando Telepalla Mel, suo partner di sempre, con un osso tra i capelli a fare da richiamo. E' un'allegoria (del potere mediatico, suppongo) ancora necessaria; come tutta allegorizzante e necessaria è la cartonografia simpsoniana. Ma non è questa l'allegoria che mi piace di più, fra quelle di cui si costellava quel mio calendario Simpson. L'allegoria che mi piace di più l'avevo trovata ad agosto; lì, tre ingegnosi operai della centrale nucleare di Springfield (uno naturalmente è Homer) scoprono, sotto gli occhi alteri degli ispettori, un uso alternativo dell'energia atomica - arrostire salsicciotti per farne hot dogs. Homer ha il cappello da cuoco. I salsicciotti emanano radiazioni verdi. La pelle che è gialla s'irradia pure quella di verdognolo. Fosforescente. O è forse solo l'acido della mia sovrimpressione, adesso che guardo. Intorno a Homer, che non smette di arrostire quegli oggetti verdi, e ai due che azzannano l'hot dogs con lo sguardo imbarazzato di chi è colto in flagrante, ci sta tutto un quadro di comandi quasi da SF ma però sfigata, e tutt'al più modernariata, lo-fi con una confusa memoria dello spazio alieno: quella stessa, assurda normalità alien che la famiglia tutta dei Simpson - nel suo situarsi dentro il cuore strappato di tutti gli stereotipi pazzeschi del più contemporaneo e più lontano (sganciato) Occidente - ci richiama ad ogni sequenza, fino alla sua conversione nel Futurama del Presente. […Quello stesso Cuore che, oggi, la maniacale, fino alla leggenda, enciclopedia simpsoniana in salsa britpop da parte di colui che a ragion veduta Nove definì "l'intellettuale più fuori della Seconda Repubblica", Guido Michelone, seziona in stringhe minutissime di tassonomia ossessiva - pura jouissance ipertestuale d'assemblamenti, in cui, per la prima volta, gli acidi e le polveri di Springfield si traducono nella meticolosa combinatorietà di una scatola di Lego…) I Simpson sono la teoria pura irriconoscibile di questo comico accomodamento nel disagio-della-civiltà: epica degradata, Homerica, di questa confortevolezza spigolosa (sand-in-the-vaseline, diceva D.Byrne - e poi ancor più magicamente Sukia): e insieme, arazzo spedito dai campi-di-primavera di Ovunque, che si sfilaccia di continuo tirato da spinte e controspinte esemplari - in una infinita e strana algebra pavloviana, di cui ciascuno di noi tutti è, insieme ai Simpson, l'unica cavia. Messa a bruciare. ("Burns", Mr.). - I Simpson, sono lo specchio sfondato delle più forsennate inerzie tardo-occidentali: la striscia necessaria in cui s'imprime, giorno per giorno programma per programma, la vera cronaca - sporca e impossibile, impossibile e cioè narrabile, narrabile e cioè irresistibile - del centrifugarsi del (nostro) ideale dell'Io nel cestello più ossidato, più "normalmente" alieno (familiare e sconcertante), della Quotidianità Nucleare. - O, più semplicemente, dentro il buco di un calzino.

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